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Cognitive Psychoterapy – Newsletter n 2/2021

Niente è più come prima, verso l'E-therapy

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Scopo di questa Newsletter è fornire al lettore alcuni spunti di riflessione e non dare risposte certe alle innumerevoli domande che i recenti cambiamenti nelle nostre vite ci pongono riguardo al prossimo futuro e a suoi scenari possibili. Questo nella speranza che tali considerazioni possano servire a una discussione comune su ciò che davvero è stato e sarà questo virus per l’Homo Technologicus.

La pandemia ha generato un’enorme accelerazione dei processi legati alle tecnologie digitali e la necessità del distanziamento sociale, quale uno dei principali mezzi di contrasto alla diffusione del contagio, ha prodotto un rapidissimo sviluppo delle piattaforme social per riunioni e meeting da remoto, compresa la formazione a distanza, l’ampliamento a dismisura dell’e-commerce e dell’home-banking, l’introduzione massiccia dello smart working e anche della tele-medicina. Tutti erano processi già in atto a causa della globalizzazione, ma sicuramente il distanziamento sociale e i lockdown ne ha prodotto un’accelerazione senza precedenti. Ciò è avvenuto in tutto il mondo, anche in paesi come il nostro, tecnologicamente e culturalmente arretrati in ambito elettronico ed informatico.

Essendosi manifestata come una novità di straordinaria evidenza e intensità, l’epidemia da Coronavirus ha frantumato gli usuali e canonici parametri che regolavano le relazioni sociali, sanitarie, economiche amplificando alcune dimensioni della post-modernità. La globalizzazione dell’economia, la presenza di internet, la relativa compressione dello spazio e la modificazione del tempo nelle comunicazioni sono alcuni dei fenomeni che hanno preceduto e accompagnato questa fase, cominciando a ristrutturare le esperienze tra gli esseri umani mediante nuove modalità. L’arrivo della pandemia ha completamente stravolto la nostra quotidianità: le scuole, le università, i luoghi di lavoro sono stati chiusi; le attività sportive, culturali e ricreative sono state bruscamente interrotte in tutto il mondo.

Ciò ha portato a severe misure preventive su tutto il territorio nazionale ovvero l’isolamento domiciliare, la quarantena dei soggetti esposti, la limitazione degli assembramenti, le restrizioni sugli spostamenti, la chiusura di servizi e di attività produttivo-commerciali non indispensabili e la sospensione delle attività scolastiche ed universitarie in presenza, con il conseguente, imprevisto e disorientante impatto del distanziamento sociale. Prendere o meno il virus dipende dalle qualità e proprietà della relazione sociale, nella sfera pubblica come nella famiglia. Dobbiamo misurare la distanza e la forza della relazione, le sue qualità e le sue proprietà causali. Saper prender le distanze giuste tra Sé e l’Altro, coinvolgerci e distaccarci, diventa fondamentale perché la distanza cambia la forza di ciò che è trasmesso, così come determina la sua bontà, neutralità o dannosità. Ma come si fa a vivere senza relazioni per non prendere il virus? Delle relazioni abbiamo assoluto bisogno, ma dobbiamo saper distinguere fra relazioni sicure e pericolose.

Con la comparsa del Covid-19, l’umanità è stata chiamata ad affrontare una crisi globale, destinata a lasciarci in eredità una società completamente diversa quando l’emergenza sarà passata. Il fenomeno di portata globale nel quale siamo immersi sicuramente sta provocando cambiamenti strutturali. Negli ultimi due decenni, il prevalere di comunicazioni online tramite strumenti digitali, ha in qualche modo ridotto i nostri contatti in presenza; negli ultimi due anni, in questa contingenza legata al coronavirus, c’è stato un cambiamento radicale.

La pandemia ci ha costretto a riconfigurare le nostre prassi quotidiane collegate agli spostamenti e alla comunicazione, dimensioni fondamentali della modernità globalizzata. Preclusi gli spostamenti a vari livelli, l’unico modo di mantenere le relazioni sulle grandi e piccole distanze è stato “riconfigurarle” attraverso i media elettronici. Entrambe quelle dimensioni che ci rendono uomini contemporanei hanno subito una drastica trasformazione, la possibilità di spostarsi è stata significativamente ridotta mentre la comunicazione mediata è diventata ipertrofica. In particolare per chi si è visto rinchiuso durante il lock-down in luoghi troppo ristretti, magari in una convivenza forzata che ha esasperato situazioni critiche già esistenti, l’impatto più esteso della pandemia è stato quello di riconfigurare il modo in cui vivere gli spazi interpersonali e domestici.

Molti antropologi hanno sostenuto che il nostro modo di abitare lo spazio plasmi il modo in cui noi vediamo il mondo. Di conseguenza, la particolare esperienza di spazio che il covid-19 ci ha costretti a vivere ci orienta verso un diverso modo di dare forma alla nostra umanità e ai nostri processi relazionali. Siamo passati dalla libertà di accesso a vari ambienti condivisi (bar, centri commerciali, trasporti, impianti sportivi ecc.) a doverci limitare al ritiro nel nostro spazio privato. Ritiro che si trascina dietro i ruoli e le pratiche che abbiamo vissuto negli spazi pubblici e, attraverso il virtuale, li porta dentro la nostra vita privata, annullando i confini che essa aveva con la vita pubblica. La dimensione spaziale si riconfigura anche nei modi con cui viviamo le relazioni, nella distanza interpersonale.

Viviamo una sospensione di quelle manifestazioni intersoggettive, che vanno dal saluto allo sguardo, basate su scambi fisici in presenza, in ambienti predisposti, dove la fisicità è essenziale. Ci siamo dovuti reinventare una dimensione rituale, traducendola nel galateo dello smart working dove i diversi ruoli si trovano sovrapposti nell’ambiente domestico. Nelle video-chiamate non è possibile manifestare la vicinanza emozionale tramite strette di mano ed abbracci; i rituali di rispetto, di contegno, si spostano sul piano verbale. Con la pandemia il nostro modo di fare esperienza dello spazio interpersonale è passato dalla prossemica a cui siamo stati socializzati fin dalla nascita ad un mondo dove la vicinanza è minaccia di contagio che ci rende esposti al pericolo di infezione.

La dimensione della socialità è costitutiva dell’essere umano; per cui, nonostante la riconfigurazione degli spazi ci costringa ad un distanziamento sociale, la nostra creatività rielabora il patrimonio digitale per inventare nuove forme di relazione.  In questo periodo di reinvenzione delle modalità relazionali facciamo in modo che le nostre iniziative siano indirizzate a un progetto di umanità che non si fondi sulla paura dell’altro ma sulla collaborazione con l’altro, non solo come individui ma anche come comunità. Senza dubbio le conseguenze della pandemia si profilano profonde e significative relativamente ai molteplici assetti di vita sociali ed istituzionali, tra questi il contesto formativo della scuola e del lavoro, potentemente impattato dall’emergenza sanitaria.

Come cambierà la vita dopo il Coronavirus è ancora da immaginare. Questo è il tempo dell’emergenza: un tempo caratterizzato da un luogo altro e un altro tempo, un tempo nel quale noi psicoterapeuti si dovrebbero considerare necessari in quella che definire una “svolta epigenetica”. In sede conclusiva occorre ribadire la necessità di accumulare nuove ricerche e di nuove tecnologie studi sistematici sull’impatto delle tecnologie digitali e del crescente utilizzo della rete, anche come conseguenza dei cambiamenti di vita prodotti dalla pandemia sul cervello umano, sulla psiche e sulla salute mentale.

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