La continuità del Sé: in bilico sul filo di una stabilità identitaria
Una proposta psicofisiologica per una coscienza anoetica
Partire dall’esperienza per indirizzare la ricerca neuroscientifica sulla natura umana significa adottare una strategia bottom-up che privilegia il corpo come campo di indagine. Questo approccio mi ha consentito di mettere in relazione il sistema cervello-corpo ed i suoi processi con i temi del Sé e del senso della sua continuità nel tempo, mostrando come tali temi siano inscindibilmente interrelate a livello neurobiologico. A qualsiasi livello organizzativo della materia biologica, la vita si identifica nel mantenimento delle sue condizioni omeostatiche, cioè nel mantenimento della (relativa) stabilità interna rispetto alla variabilità esterna. Nell’umano, il Sé si identifica con i diversi livelli organizzativi che sostengono la stabilità dei processi interni e della propria organizzazione di significato personale. Per riassumere questa concezione, il Sé appare basato su processi estremamente complessi che hanno che a che fare con la conservazione dei processi vitali interni e con le sensazioni che emergono da questi per il mantenimento dell’autorganizzazione personale.
In collaborazione con Guidano (1992) e Reda (2002), partendo dalla nozione di autorganizzazione, per cogliere le dinamiche dell’emergere del Sé e il divenire temporale del sistema conoscitivo individuale, ho cercato di identificare alcuni ritmi psicofisiologici, caratterizzanti le organizzazioni di significato personale (OSP), alla base dei meccanismi di equilibrio relativi all’interazione con una realtà multiforme e continuamente mutevole. La concezione di base da cui sono partito è che la nostra mente, dotata di un Sé e di una soggettività, non si genera e non prende le mosse da un atto percettivo collegato con l’ambiente esterno, ma origina invece da una connessione con l’interno, con quello che noi definiamo il corpo. È pertanto verosimile che il senso di continuità si basi proprio su dei parametri vitali di base interni al corpo che sono quelli che rimangono più simili nel corso del ciclo di vita individuale. La piattaforma di base ossia l’origine del Sé sembra nascere da uno stato interno. Il punto critico, che ritengo fondamentale, è il tema dell’inizio, cioè dell’origine, del dove i processi di costruzione del Sé iniziano; io penso che comincino da processi interni al corpo, nonostante noi esseri umani, come tutti i primati, siamo esseri sociali per natura e l’intersoggettività caratterizzi fin dall’inizio il nostro Sé, soprattutto grazie all’attività dei neuroni specchio (Rizzolatti, 2008; Gallese,2007).
Un tema che da molti anni mi ha interessato, ma che solo adesso sto realizzando in maniera più chiara e più articolata, riguarda il significato e le implicazioni relative alle componenti preriflessive dell’esperienza, con particolare attenzione a quei ritmi psicofisiologici alla base dei nostri feeling primordiali (primordial feelings, feeling inteso come esperienza fisica di uno stato corporeo, non necessariamente in presenza di emozioni). Ritengo che i sistemi dei feeling primordiali e delle sensazioni interocettive abbiano sempre come fine ultimo il mantenimento dei processi vitali, che tecnicamente è l’omeostasi, e riguardino il senso dell’invarianza del Sé nel tempo. Tali ritmi psicofisiologici, diversificando le nostre organizzazioni di significato personale, sono anche il modo in cui noi percepiamo il nostro stato interno, il modo in cui avvertiamo lo stato del nostro corpo attraverso il ritmo del respiro, del cuore o le variazioni dello stato ormonale (per esempio, la reazione di allarme in un soggetto fobico per il suo stato di rilassamento muscolare). Perfino gli stati emozionali, per esempio quando ci sentiamo tristi o allegri, sono caratterizzati, per quanto riguarda il corpo, dalle peculiarità dei nostri ritmi autonomici.
(Di seguito l’articolo completo)
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