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Identità in rete: il Sé virtuale

 

La rivoluzione digitale e la pervasività delle nuove tecnologie nelle quali l’uomo del XXI secolo è ormai “immerso”, hanno modificato la percezione non solo della realtà in cui egli vive ma anche l’essenza della sua unicità: la sua identità.

Plasmata a misura d’uomo virtuale, adattata alla fenomenologia della Rete, riscritta sullo schermo di un computer, l’identità dell’individuo post-moderno perde la propria fissità e fisicità per esprimere, libera dai vincoli del corpo, i suoi molteplici Sé. 

Lo schermo è diventato lo specchio nel quale Narciso ricercava la perfezione estetica, il “sogno di realtà” nel quale Alice si perde tra le finestre del suo inconscio, lo spazio in cui “i vari Don Chisciotte della post-modernità possono comunicare (…) le immagini della loro stessa follia”.1 
Internet è il luogo “tecno-immaginario per eccellenza” in cui il pensiero diventa concreto, in cui realtà parallele si intrecciano insieme ai loro molteplici volti formando un Sé fluido, frutto di un processo in fieri. Kunstler parla di futurologia del sé riferendosi agli studi sullo sviluppo dell’identità umana in relazione al progresso del contesto socio-culturale: 

Lo studio del futuro del sé si interessa a come definiamo il soggetto, o le nozioni attraverso le quali lo immaginiamo, chi siamo, come ci comportiamo, le qualità che ci attribuiamo. (…) e nostre nozioni sullo statuto dell’essere uomo sono cambiate nel corso dei secoli e continuano a cambiare, in particolare con le grandi trasformazioni attuali nelle nostre società e nelle nostre tecnologie.2 

I tradizionali paradigmi della scuola socio-costruttivista definiscono l’identità un’entità riflessa in quelle alterità che nella nostra società vengono rappresentate dal computer e dai suoi software: gli interazionisti simbolici ritengono l’identità solo un’espressione momentanea e inconsapevole delle negoziazioni in atto tra “orde di sottoidentità”, mentre le nostre istituzioni continuano a basarsi su una definizione rigida dell’io, locale e culturalmente delimitata. 
L’individuo è solo nella conoscenza e decisione circa i Sé possibili ma, al contempo, questa fase è interamente sociale dal momento in cui egli sceglie in base all’ordine simbolico e normativo che la sua esperienza sociale e mediale ha attivato in lui. 

Le nuove tecnologie, hanno contribuito all’apertura del singolo verso un nuovo momento di autocoscienza, accrescendo la consapevolezza del senso di sé e delocalizzando lo spazio fisico attraverso la testualità e la “comunicazione prostetica”: eventi che segnano la fine dell’era meccanica e l’inizio di quella che potremmo definire “era virtuale”. 
Secondo Pecchinenda, questo è il momento in cui la realtà elettronica del virtuale ha permesso all’uomo, dopo millenni di costruzioni sociali, di far incontrare di nuovo la “mano utensile” e la “faccia linguaggio”, scissi da un’evoluzione rispettivamente “eso-somatica” e “intrasomatica”: la materialità manuale e l’interiorità cognitiva convergono, ora, all’interno del corpo virtuale. 
Ne consegue che questa specifica fase evolutiva riguardi una ridefinizione non solo del concetto di corporeità ma soprattutto del significato di uomo in quanto identità molteplice: ilself non può più essere concepito come un prodotto stabile, univoco e invariabile di un particolare momento storico ma, allontanandosi dalla prospettiva comportamentista, il soggetto in Rete ha la possibilità di rappresentare sé stesso in modo autonomo e personale. 
Nella vita reale invece, la percezione di sé e la costruzione dei propri ruoli all’interno dei contesti socioculturali sono processi basati su una complessa dinamica di riconoscimento sociale che in Internet, al contrario, lascia spazio all’individualismo postmoderno e a quella che Morcellini chiama “autosocializzazione”: 

tutto il peso si sposta così sul soggetto: l’uomo moderno è solo nella scelta dei fini e della condotte di vita, perché nessuno è più in grado di dispensare certezze, se non provvisorie e revocabili3

L’identità individuale rappresentata in Internet accetta di essere de-individualizzata perché esposta a quel processo di “pubblicazione” di cui parla Gebner, in cui una vasta platea pubblica può confermare smentire e rafforzare le informazioni proposte dal soggetto. 
È un’identità, dunque, pubblica e privata insieme, esposta e celata, reale e immaginata, attraverso cui l’individuo esprime un’autonomia nella scelta dei modi in cui esprimersi e socializzare mai incontrata prima. 
In “The Protean Self”, Lifton confuta la concezione unitaria del Sé che nella cultura tradizionale trovava riferimento in simboli, istituzioni e relazioni stabili: crollando la cultura tradizionale crolla anche la stabilità identitaria che si traduce così in un salutare Sé proteiforme. Capace come Proteo, greco dio marino, di mutare forma a piacere, l’io gioca trasformazioni fluide ma saldo su radici di coerenza e prospettiva morale: multiplo eppure integrato. 
Il Sé, così, diviene, secondo Marinelli, un progetto simbolico riflessivo (autopoiesi della coscienza) alla cui costruzione il soggetto (il sistema psichico individuale) partecipa attivamente incorporando i materiali simbolici a sua disposizione (rappresentazioni) – mediati e no – per inserirli in un “racconto autobiografico” (autodescrizione) sottoposto a una continua revisione e ricerca di coerenza4

Nella tradizione interpretativa dei cultural studies l’attenzione si sposta lungo un continuo rimando tra esperienza controllabile individualmente e i riferimenti simbolici di un mondo globalizzato e mediatizzato. 
L’individuo ha la percezione di essere sempre più affrancato da condizionamenti e appartenenze attraverso il dissequestro dell’esperienza che gli consente libertà nel manipolare contenuti e auto-costruire identità. 
Bauman ha definito il nostro tempo “l’età dell’identità”: imposta, negoziata o creata che sia, la sua funzione è sempre stata quella di rendere visibili e narrabili storie e personalità, per distinguerne l’unicità e al contempo manifestarne la molteplicità. 
Uno dei modelli più interessanti sull’identità è stato elaborato da Lèon e Rebeca Grindberg negli anni ’70: per gli autori, l’acquisizione del sentimento del Sé avviene attraverso un processo di interrelazione costante di tre rapporti o canali di integrazione: spaziale, temporale e sociale. 

Se accettiamo l’idea che l’identità non sia qualcosa di dato per sempre ma un processo, ecco che le nuove configurazioni sociali ci spingono a dover definire con nuovi strumenti e nuove visioni quel che noi siamo e sentiamo di essere5

Ma le identità che nascono dall’interazione uomo macchina presuppongono un nuovo rapporto comunicativo le cui parti si annullano e si identificano dando vita ad una psicotecnologia della Rete come estensione della mente, habitus del corpo, e ad un cyborg-soggetto la cui essenza digitale si manifesta in un’entità frammentata e complessa. 
Oggi, la concezione di identità come molteplicità si diffonde anche sulla spinta di una nuova pratica di identità come molteplicità nella vita online. Le personae virtuali rappresentano oggetti con cui pensare; la simulazione può aiutarci a realizzare la visione di un Sé multiplo ma integrato, la cui flessibilità, duttilità, e capacità di felicità provengano dalla possibilità di accedere ai nostri molti Sé. 
“Decentrato”, “fluido”, “non lineare”, “opaco”, sono termini che si oppongono alla modernità “lineare”, “logica”, “gerarchica” che ha condizionato il pensiero occidentale dall’Illuminismo in poi. 
Caronia, nel suo saggio “Il corpo virtuale”, sostiene che l’era di Internet è l’era del corpo disseminato nelle reti, capace di annullare la distinzione tra reale e virtuale, e riguardo l’identità afferma: 

L’ideologia corrente domina le cose e le persone nominandole e descrivendole: Tu sei un io. Ma io non voglio più essere un Io, voglio essere infiniti Ii! Senza la possibilità di classificazioni, non si potrà più imporci identità precotte e predigerite, né agire per metterle l’una contro l’altra. Muore Pavlov, con tutti i suoi fottuti campanelli6

E’ forte la tendenza dell’uomo a divenire qualcos’altro e ciò è oggi più che mai possibile all’interno del cyberspazio: il soggetto ha la possibilità di sperimentare sé stesso e la propria presenza rispondendo a quel forte desiderio di esistere con la sua concretezza nell’immateriale mondo del Web. Radicale al riguardo è la posizione di Giuliano sintetizzata in questa affermazione: 

L’uomo è dunque un povero attore che si affanna a interpretare tutte le parti che la vita gli assegna. Un susseguirsi di finzioni, di maschere che si sovrappongono l’una all’altra7

Secondo Giuliano, in linea con il pensiero interazionista simbolico di Mead, il soggetto appare come riflesso della sua immagine negli altri; centomila relazioni che producono centomila personalità: Uno, nessuno e centomila
Per Collins, siamo obbligati ad esibire un self non perché realmente lo possediamo ma perché obbligati dalla società a “comportarci come se l’avessimo”. I ruoli sociali, le rappresentazioni, i luoghi culturali, sono funzionali a trasmettere l’impressione che vi sia un’immagine ultima e definitiva che gestisce tutto: l’identità. 
Secondo Goffman, infatti, il Sé non è il risultato di un processo esclusivamente interno all’individuo ma scaturisce “dalla scena della sua azione”. Il Sé viene costruito all’interno di “cornici” (frames) meta-comunicative, è un “effetto drammaturgico” della rappresentazione teatrale della vita. 
Jameson, invece, parla di frammentazione della società post-moderna e la identifica con la frammentazione identitaria: non si tratta di un Sé alienato perché l’alienazione presuppone un’unitarietà precedentemente posseduta e poi perduta, ma un Sé fluido e multiplo, inserito in una logica capitalistica e in una società informatizzata. Il “saturated self” di Gergen è il risultato delle nuove tecnologie di comunicazione. 
Libertà e realizzazione: questo è ciò che consente il personal computer, con le sue innumerevoli finestre da manipolare e adattare alle specifiche esigenze; questo permette la Rete con le sue infinite possibilità di mutamento e ricomposizione: così come Pirandello ha permesso al suo protagonista di camminare per le strade del suo mondo ed essere chiunque egli desiderasse, allo stesso modo la Rete permette ai personaggi che percorrono le sue vie di essere tutti o uno solo, l’unicità e la molteplicità insieme. Nei moderni MUD e nei giochi di ruolo questa possibilità si radicalizza. 

Posizioni più ottimistiche e “integrate”, dunque, subentrano ad originarie visioni “apocalittiche” riguardo il destino dell’uomo postmoderno: l’avvento della società della comunicazione suscita reazioni estreme che oscillano tra l’estasi della liberazione e il catastrofismo sociale. 
Su quest’ultima linea si inserisce la posizione di Baudrillard che, in chiave costruzionista, ha intravisto nel sistema decentrato dell’era postmoderna, Internet, la fine della realtà e del soggetto diventato pura “descrizione” e simulacro di sé stesso. 
Maldonado, ancora, pur presupponendo la transitorietà del mascheramento e annullamento del Sé, non esclude l’eventualità che la contraffazione dell’identità “possa favorire la nascita di una sorta di comunità autoreferenziale priva di qualsiasi legame con la realtà”. 
Realista è la posizione di Kunstler, il quale si rivela scettico sulle valenze liberatorie delle molteplici possibilità identitarie in Rete e ritiene che il soggetto, nonostante possa sentirsi gratificato dall’esperire un altro Sé, sia comunque sempre legato all’identità reale di partenza.
Gli ambienti di Rete in ogni caso costituiscono un identity playground: il Sé elude qualsiasi aprioristica codificazione poiché si sottopone ad innumerevoli manipolazioni basate sull’accesso al codice sorgente della mente. 
Le nozioni individuali del Sé, sostiene Rheingold, svaniscono nello stadio della relatività: 

Viviamo nei cervelli l’uno dell’altro, come voci, immagini, parole sullo schermo. (…) Siamo personalità multiple e ci comprendiamo a vicenda8

Il computer è il “nostro secondo io”, un io virtuale giocato e manipolato che non rifugge però dalla sua inscindibile coerenza e concretezza. E’ lo strumento in grado di offrirci nuovi modelli mentali permettendoci di penetrare in lui, riflessi nel suo schermo, insieme alle nostre aspettative, le nostre pulsioni: come esseri immateriali e totalmente umani. 

Bibliografia

  1. G. Pecchinenda, “Il sé della rete. Paradigmi emergenti dell’identità tra processi migratori e nuovi media”, in M. Morcellini, A.G. Pizzaleo (a cura di), Net Sociology. Interazioni tra scienze sociali e Internet, Guerini e Associati, Milano, 2002, pp.99-110. 
  2. B. Kunstler, “Per una futurologia del sé: come si ridefinisce il concetto di ‘identità’ in un mondo ipertecnologico”, Chicago, 1998, in: mediamente.rai.it, data di ultima consultazione: 15 ottobre 2007. 
  3. M. Morcellini, Passaggio al futuro, Franco Angeli, Milano, 1992, p.15. 
  4. A. Marinelli, Connessioni. Nuovi media, nuove relazioni sociali, Guerini e Associati, Milano, 2004, p.204 
  5. E. Petrassi, Bentrovati. Nel cyberspazio!
  6. A. Caronia, Il corpo virtuale: dal corpo robotizzato al corpo disseminato nelle reti, Muzzio, Padova, 1997. 
  7. L. Giuliano, I padroni della menzogna. Il gioco delle identità e dei mondi Virtuali, Meltemi, Roma, 1997, p.47. 
  8. S. Turkle, La vita sullo schermo. Nuove identità e relazioni sociali nell’epoca di Internet, Apogeo, 2005.
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