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Maurice Merleau-Ponty e la Fenomenologia della Percezione

Psicoterapia e Fenomenologia

La psicoterapia deve oggi riflettere e tener conto dell’approccio al problema della conoscenza e della mente proposto dall’epistemologia, dai fondamenti biologici (Edelman, 1993) e dalle teorie dell’embodiment (Maturana e Varela, 1987, Edelman, 1991, 1993, Searle, 1994). Per non ricadere in un ormai obsoleto dualismo cartesiano, risulta indispensabile trovare un modo per integrare gli studi da tempo compiuti sui processi cognitivi, con le recenti ricerche delle neuroscienze che indicano che l’essere umano è capace di tutti i suoi processi mentali, compreso il linguaggio, esclusivamente sulla base della corporeità del suo organismo. Un risolutote ntativo di passare da un approccio filosofico che si rivolge al pensiero come entità astratta ad una che descrive la mente come processo che si costituisce biologicamente nel corpo è stato compiuto nel ‘900 da Maurice Merleau-Ponty. In particolare con le ricerche fenomenologiche raccolte in Struttura del comportamento (1943) e Fenomenologia della percezione (1945), che hanno offerto i più importanti spunti delle lezioni universitarie tenute alla Sorbona tra il 1952 e il 1961 (Merleau-Ponty, 1995, 1996), Merleau-Ponty ha riportato il corpo all’interno del discorso filosofico. Muovendo da alcune intuizioni husserliane, dagli studi della neurofisiologia di Pavlov e di Sherrington e dalle sperimentazioni della Gestaltpsychologie sulla percezione, il discorso di Merleau-Ponty è riuscito a delegittimare la tradizionale nozione di coscienza con cui le scienze occidentali avevano costruito un’immagine dell’uomo fatta di solo pensiero, rivelando la radice ineliminabile che la soggettività consapevole getta nell’esistenza vissuta dell’organismo. In questa prospettiva il progetto di “indagare geneticamente” l’esperienza di essere uomo va a coincidere con l’istanza husserliana di riportare il discorso filosofico “alle cose stesse”.

In accordo con la “rivoluzione paradigmatica” realizzata dalla teoria dei quanti, che aveva fondato l’oggettività fisica non sul presunto determinismo della misurazione, ma sull’ambigua ontologia dell’osservazione (Merleau-Ponty, 1996), Merleau-Ponty fu spinto dalla sua prospettiva fenomenologica al radicale progetto di praticare una riduzione che riportasse la riflessione, su cui la possibilità stessa del linguaggio si fonda, alla sua origine irriflessa, quindi a ciò che viviamo in prima persona e alla specifica ontologia che gli soggiace. L’epistemologia che scaturisce da questa prima affermazione nella filosofia occidentale dell’incarnazione della coscienza umana è in grado di comprendere che lo stesso domandare filosofico, tradizionalmente considerato dimensione razionale per eccellenza, può in realtà essere espresso solo sulla base delle caratteristiche biologiche della natura umana. L’analisi fenomenologica delle strutture del comportamento mostra che la specifica ontologia che sostiene la vita cosciente è tale esclusivamente per il suo “essere situata”, che è appunto un’incarnazione (individuale ma aperta all’intersoggetività) che si è stabilita storicamente durante l’evoluzione della biosfera. Nella fenomenologia di Merleau-Ponty essere uomo è di certo essere coscienza, ma essere coscienza significa, per ogni uomo, esistere come quel corpo che vivendo realizza concretamente la propria coscienza.

Per infrangere i rapporti imposti a pensiero ed esistenza dal Cogito cartesiano la filosofia può quindi aprirsi fenomenologicamente una via verso la reale ontologia dell’umano, evitando con l’esercizio dell’epochè (la riduzione fenomenologica) sia derive metafisiche che eliminativiste. Molte ipotesi filosofiche si sono private della loro pregnanza proprio per aver considerato dicotomica nella realtà questa coppia di concetti, cadendo in quello che Ryle ha definito “errore categoriale” (Ryle, 1955; Damasio, 1995), o finendo col propendere per uno dei due elementi.

Per abbandonare le funeste conseguenze della tradizionale opposizione di materia e pensiero – sulla base della quale nelle concezioni “empiriste” come in quelle “razionaliste” è stato postulato un mondo sommativamente composto di oggetti preformati che, in uno spazio euclideo, ci istruirebbero “per impressione” sulle loro caratteristiche puntuali – dobbiamo reintegrare alle nostre riflessioni l’esistenza corporea, vincolando il pensiero alla percezione in quello che fenomenologicamente è stato riconosciuto come rapporto di Fundierung: sussiste infatti un rapporto di reciproca fondazione tra sensazione e riflessione, che esistono indivise nel circolo dialettico che concretamente “svolge” il vissuto umano.

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