Il Visibile e l’Invisibile nella costituzione del Sé polimorfo postmoderno
"All'idolatria del progresso si contrappose quella della sua maledizione.” Paul Valéry
La post-modernità
La realtà in cui viviamo sta subendo rapide trasformazioni radicali che vanno ricercate principalmente nel processo continuo dell’evoluzione digitale. L’ipotesi dominante di Lyotard (1985) è che sia profondamente mutata la condizione del sapere nelle società più sviluppate: si assiste al rigetto dell’obiettività, del primato della ragione e dell’osservatore privilegiato; il progetto postmoderno relativizza ogni cosa, dalla verità alla morale, alle interpretazioni generali dell’esistenza umana. Per cercare di spiegare i cambiamenti socioculturali nella post-modernità, Bauman (2002) ha introdotto il concetto di società liquida; secondo il sociologo polacco la società occidentale è passata ad uno stato di liquidità nel momento in cui le esperienze e le azioni umane hanno iniziato a modificarsi così rapidamente da non avere il tempo di sedimentarsi in abitudini. Il termine “liquidità”, infatti, richiama alla mente qualcosa che scorre senza una forma precisa, assumendo di volta in volta la sagoma del contenitore, e che sembra rappresentare al meglio, per questo autore, l’attuale condizione dell’uomo post-moderno.
Il fascino violento e seduttivo della tecnologia non sembra lasciar scelta: è a volte disprezzata ed assimilata ad un invincibile mostro; altre volte viene esaltata e santificata per le sue infinite potenzialità sul progresso dell’essere umano. La reazione del mondo della Cultura e della Scienza alla post-modernità si è quindi divisa in due punti di vista radicalmente opposti fra loro. Prendendo a prestito il titolo di un saggio di Umberto Eco (1964), “Apocalittici e Integrati”, abbiamo da un lato gli apocalittici che tendono ad evidenziare della post-modernità i pericoli degenerativi, la passività, l’eterodirezione, l’omologazione e la mistificazione; dall’altro lato abbiamo gli integrati che preferiscono esaltare le potenzialità di sviluppo apportate dai nuovi mass media quali crescita del potenziale esperienziale medio, circolazione dei saperi, disseminazione degli stili, avvicinamento delle sensibilità culturali. In generale, gli apocalittici temono che ogni nuova tecnologia inserita nella condotta comunicativa accresca il pericolo di catastrofe per la dignità dell’uomo e i rischi di disgregazione personale e sociale; la tecnologia provocherebbe una serie di danni, allontanando le persone dalla propria sfera d’intimità affettiva, in particolare le nuove generazioni di nativi digitali espostevi sin dalla nascita. Al contrario gli integrati individuano nei media le risorse di un’accresciuta compattezza sociale.
Qualunque tecnologia della comunicazione (dalla stampa, alla radio, alla televisione) è stata sempre caricata da timori apocalittici, come se il superamento dei limiti della comunicazione faccia-a-faccia potesse comportare un effetto disumanizzante e pericolose conseguenze per le relazioni personali. Molte voci contemporanee, critiche e allarmistiche, in risposta alle nuove tecnologie digitali e alle loro possibili conseguenze sull’identità post-moderna ricordano la crisi nella storia della comunicazione che avvenne nella Grecia antica con la transizione dalla cultura orale a quella scritta. Il grecista Eric Havelock (2009) ha sostenuto l’ipotesi che, nonostante l’uso dell’alfabeto determinasse una profonda trasformazione nella mente umana stimolando l’elaborazione di un modo nuovo di pensare, il ceto colto di allora osteggiò accanitamente la cultura scritta non comprendendone l’importanza. Paradossalmente Platone, benché creasse la sua filosofia mediante la nuova facoltà di pensiero basata sulla possibilità di riflettere su parole fissate su un supporto, mosse aspre critiche alla scrittura. Molti si sorprenderanno nello scoprire che le stesse obiezioni, oggi comunemente rivolte al digitale, vennero mosse alla scrittura da Platone nel Fedro (274-7) e nella Lettera VII. Platone fa dire a Socrate nel Fedro che la scrittura è disumana, poiché finge di ricreare al di fuori della mente ciò che in realtà può esistere solo al suo interno. Stesso argomento viene usato oggi per disapprovare alcuni aspetti virtuali del digitale. Inoltre, incalza il Socrate di Platone, “[…] la scrittura distrugge la memoria: chi se ne serve cesserà di ricordare. […] la scrittura indebolisce la mente […]”. Molti dotti contemporanei sostengono che l’individuo post-moderno, ormai privo di riferimenti stabili, abbia una personalità instabile e un’identità ambigua. Singolarmente, però, così come Platone per dare efficacia alle proprie obiezioni le presentò per iscritto, gli odierni intellettuali apocalittici diffondono in modo virale le loro idee nel web attraverso i propri blog.
Già prima della diffusione dell’Apocalisse di Giovanni, la convinzione di un destino catastrofico del mondo ha esercitato sugli uomini un fortissimo fascino ed è stata ciclicamente riproposta con l’appoggio di testi sacri, profezie e teorie pseudoscientifiche; esasperata nei periodi di innovazioni e di crisi legati a rapide transizioni da un tipo di società ad un’altra, oggi, attraverso i media, questa credenza sembra essere aumentata di interesse. La postmodernità appare l’epoca giusta per tematizzare l’idea di apocalisse e farla sviluppare all’interno della molteplicità dei linguaggi mediali: dove nella modernità era forte un’idea di progresso e sviluppo, il nuovo orizzonte porta con sé un senso di fine, reso ancora più evidente dagli eventi utilizzati per fissarne la nascita. La postmodernità sembra nascere dalla modernità con un parto doloroso ed è proprio il trauma scaturito dalla distruzione delle grandi narrazioni sorte dall’illuminismo in avanti (dal marxismo al liberismo, dal cristianesimo a tutte le visioni religiose) e dei simboli più popolari a potenziare il senso di fine e a declinarlo in un’ineluttabile apocalisse. Gli inquietanti personaggi del testo giovanneo indossano oggi i costumi della globalizzazione, del mercato e della società dei consumi, decisi a riportare dinnanzi all’uomo una rappresentazione di disastro universale più vera che mai. Fra i media, quello che per eccellenza funge da collettore per questi fantasmi è il cinema, come testimoniato dalla proliferazione del disaster movie negli ultimi quarant’anni.
Nei libri di sociologia, l’anno 1992 è stato messo convenzionalmente come confine della transizione, in quanto il 1991 segna la data della distruzione del muro di Berlino e nel 1992 viene immessa capillarmente Internet sul mercato. Chi è nato prima del 1992 apparterrebbe ai moderni e più indietro si va più è moderno, mentre quelli nati dopo il 1992 sono considerati post-moderni o anche chiamati nativi digitali (ND) (Prensky, 2001). L’espressione immigrato digitale (IMMI D) si applica a coloro che, nati e cresciuti prima delle tecnologie multimediali, le hanno adottate in un secondo tempo; chiamati anche nativi analogici (NA) manifestano un certo senso di inadeguatezza nell’uso delle nuove tecnologie. Una terza figura è quella del tardivo digitale (TD), una persona cresciuta senza tecnologia e che la guarda tutt’oggi con diffidenza.
Le società postmoderne si sono distaccate dai precedenti confini culturali ed economici, a causa di un incessante confronto con un rilevante numero di modifiche imposte da una veloce trasformazione multilivello. Ci sono numerose teorie, molteplici centri di conoscenza, poche leadership stabili riconosciute, un flusso continuo di informazioni difficili da valutare, plurimi interessi per un mondo che comunque cambia troppo velocemente per permettere a qualsiasi cosa di radicarsi e durare. Il tempo e la durata di una teoria sono effimeri, la vediamo transitare rapida così come vediamo modificarsi velocemente le nostre convinzioni personali. La transizione in atto ha portato uno spostamento culturale enorme in un brevissimo intervallo di tempo.
La post-modernità è stata descritta come una cultura globalizzata, caratterizzata da una forte espansione delle tecnologie di comunicazione e di informazione, da una continua riproducibilità delle merci e del loro consumo, da una veloce trasformazione della concezione dell’umano; ciò obbliga a una revisione del paradigma bio-psico-sociale con particolare attenzione a eventuali modifiche nel senso di identità personale e nei legami collettivi ad opera dei flussi. Per Bauman (2002) la trasformazione è in atto e noi ci troviamo sospesi tra il non più e il non ancora, il nostro è il tempo dell’indecifrabile interregno.
Scarica la presentazione (XX Convegno di Psicologia e Psicopatologia
Post-Razionalista , Ancona 2019)